Tito e Giulio Ricordi
(Milano, 29 ottobre 1811 – ivi, 7 settembre 1888); (Milano, 19 dicembre 1840 – ivi, 6 giugno 1912) La casa editrice Ricordi venne fondata da Giovanni (Milano, 1785 – ivi, 15 marzo 1853), il quale nel 1808 aprì a Milano una stamperia di musica di fronte al Duomo, per poi trasferirsi dal 1815 in contrada di Santa Margherita, nei pressi del Teatro alla Scala. Nonostante Giovanni fosse stato il primo editore di Verdi (investì ben 2.000 lire austriache per aggiudicarsi i diritti dell’Oberto conte di San Bonifacio), il Maestro ebbe come interlocutori privilegiati di Casa Ricordi il primogenito Tito, titolare dal 1853, e il figlio di quest’ultimo, Giulio, che entrò nella ditta di famiglia nel 1863. Verdi entra per la prima volta in contrasto con Giovanni Ricordi in una lettera inviata a Pietro Massini, direttore dei Filarmonici di Milano, il 6 ottobre 1839, a poco più di un mese dalla prima alla Scala della sua opera d’esordio: «Le faccende della mia Opera vanno tuttora bene. I cantanti sono tutti contenti e le donne hanno le parti: lo spartito resta di mia proprietà, ed io faccio cavare le parti dalla copisteria Ricordi. Del prezzo non s’è fissato, e la cosa verrà rimessa a Pasetti. Ricordi mi disse di avere il diritto di stampa senza dare nissun compenso. Questo non mi sembra giusto. Basta; per ora non conviene parlare». Sin dall’episodio appena citato, i rapporti fra Verdi e i Ricordi furono spesso caratterizzati, oltre che da euforica condivisione per i trionfi del compositore emiliano, da numerose incomprensioni e accesi contrasti. Giovanni fu di nuovo protagonista di un contenzioso con Verdi nel marzo 1852, quando un equivoco sui diritti della traduzione francese di Luisa Miller (il Bussetano, colpevolmente, non lesse alcune postille in calce al contratto) originò un salace scambio epistolare fra i due. La situazione non migliorò con il passaggio di testimone a Tito, il quale sulla questione riguardante il noleggio de Il Trovatore, così si rivolse al Maestro: «Si pretende […] che pel nolo del Trovatore […] aggiungesti altra piccola somma a causa di ritardo da te preteso dannoso per vendita di stampa. Se ciò è vero, mi permetto dirti che è cosa non bella […], speravo che non ti saresti servito di queste sottigliezze con me, che tante e tante volte ho fatto ben più di quello che doveva; con me, che sono in gran parte l’origine della tua colossale fortuna!» (24 ottobre 1855). Sull’altro fronte, Verdi nel 1874 pretese chiarimenti da Tito circa presunte irregolarità nella gestione dei diritti d’autore: «Io voglio distinguere Tito Ricordi, dall’Editore, ed è per questo che domando a Tito Ricordi di dirmi francamente come stanno le cose; ché se i gerenti dell’Editore non hanno avuta cura de’ miei interessi, ciò malgrado io non metterò Tito Ricordi nell’imbarazzo d’una lite: ma permettimi di dire ancora una volta che la Casa Editrice ha trattato con me senza considerazione alcuna» (11 marzo 1874). Con l’ingresso di Giulio Ricordi nella storica casa editrice, Verdi poté finalmente relazionarsi con un interlocutore di alto profilo intellettuale – egli stesso compositore con lo pseudonimo Jules Burgmein – la cui gestione della società (tale fu il profilo assunto dalla ditta sotto la gestione di Giulio, operazione agevolata dallo stesso Verdi, che prestò all’editore 200.000 lire) coincise sia con il ritorno in pianta stabile del Maestro nel cartellone delle stagioni d’opera della Scala, sia con il lancio internazionale degli ultimi capolavori verdiani: Otello, prima partitura pubblicata a stampa nei torchi di Casa Ricordi, e Falstaff. Alla notizia della pubblicazione in Francia dell’unica biografia autorizzata di Verdi ad opera di Arthur Pougin, Giulio Ricordi nel 1879 propose all’operista di farne un’edizione per il mercato italiano, ricevendo la disponibilità di Verdi ad una collaborazione con riserva: «Vi rimando le bozze della mia biografia con alcune correzioni e diverse inesattezze di qualche importanza. Poiché fate questo lavoro fatelo più esattamente che potete. Ma via, parliamoci chiaro, credete Voi che questa Biografia possa interessare molto? Non era meglio lasciarla dormire negli articoli dimenticati del “Menestrel”?». A testimonianza di un sodalizio fondato su reciproca stima e affine sensibilità, parlano le centinaia di lettere che Verdi e Giulio Ricordi si corrisposero nell’arco di circa quarant’anni, tra le quali la celebre missiva che il Cigno di Busseto inviò all’editore nel giorno della scomparsa di Wagner: «[…]La sua musica, per quanto lontana dal nostro sentimento fatta eccezione pel solo Lohengrin, è musica dove c’è vita, sangue e nervi; dunque è musica che ha diritto di restare. […]».