Da quel primo viaggio datato 22 maggio 1832 – intrapreso nella speranza di essere ammesso al conservatorio – in compagnia del padre Carlo e del maestro Provesi fino all’ultima notte della sua vita al Grand Hotel et de Milan, il 27 gennaio del 1901, Milano fu la città che più di ogni altra, nella geografia verdiana, ebbe un ruolo chiave nella formazione e nella consacrazione artistica del Maestro. Nei primi anni vissuti nel capoluogo lombardo Verdi fece il suo difficile apprendistato e dovette sopportare la condizione di desolante solitudine determinata dalla morte dei figli Icilio e Virginia e della moglie Margherita. Al tempo stesso, tuttavia, Milano, nel periodo più buio della vita di Verdi, seppe offrire al «villanello delle Roncole» buone opportunità, come quando, dopo il negativo esito dell’esame per l’ammissione al conservatorio, Verdi poté formarsi sotto la guida di Vincenzo Lavigna. Il rigoroso approccio didattico di quest’ultimo (a volte percepito da Verdi come eccessivamente pedante) trasmise al giovane emiliano un solido bagaglio tecnico-compositivo, condizione necessaria – a contatto con l’esprit verdiano – per il successivo sviluppo del suo personalissimo stile.
Lavigna oltretutto suggerì a Verdi di abbonarsi alle stagioni operistiche della Scala, permettendo all’allievo di ascoltare i lavori di alcuni autori del calibro di Mercadante, Donizetti (assistette alla prima di Lucrezia Borgia, il 26 dicembre 1833) e Luigi Ricci. La formazione di Verdi in campo musicale andò di pari passo – sempre grazie ai buoni uffici di Lavigna – con la frequentazione, già a partire dal 1834, di quegli ambienti nobili e alto borghesi – in primis la Società filarmonica diretta da Pietro Massini – che tanta parte ebbero nelle committenze dei primi lavori del Verdi milanese. Fu sempre nel contesto di un salotto meneghino, quello della contessa Clara Maffei, che negli anni Quaranta Verdi conobbe e si confrontò con i più insigni intellettuali e artisti del suo tempo (Francesco Hayez, Carlo Cattaneo, Massimo d’Azeglio, Andrea Maffei, Carlo Tenca, Opprandino Arrivabene), maturando – oltre ad una lucida coscienza politica – la consapevolezza di poter svolgere, dopo i tormentati esordi, un ruolo da protagonista sulla scena culturale del capoluogo lombardo.
Per il compositore emiliano fu uno sforzo titanico risollevarsi dopo lo sfortunato episodio di Un giorno di regno (5 settembre 1840), ma anche in questa circostanza Milano – nella persona dell’impresario Merelli – fornì a Verdi l’ennesima chance, che il Maestro non si lasciò sfuggire, confezionando per il Teatro alla Scala Nabucco (9 marzo 1842) e I lombardi alla prima Crociata (11 febbraio 1843), prime convincenti affermazioni del suo genio. L’allestimento di Nabucco – oltre ad essere stato un successo dal punto di vista professionale – consentì a Verdi di conoscere il soprano Giuseppina Strepponi (impegnata nel ruolo di Abigaille), la quale rimase fino alla sua morte (14 novembre 1897) al fianco del Maestro.
L’accelerazione impressa alla propria carriera con i due titoli scaligeri, oltre ai contrasti sorti con l’editore Ricordi, spinsero Verdi ad aprire i propri orizzonti verso nuove committenze per i teatri di Venezia, Roma, Napoli e Parigi, sancendo, dopo le premières alla Scala di Giovanna d’Arco (15 febbraio 1845) e Attila (26 dicembre 1846), un doloroso e prolungato distacco dalla sala del Piermarini. Se si eccettua la prima della Gerusalemme (versione italiana della Jérusalem parigina), andata in scena alla Scala il 26 dicembre 1850, dovranno passare ventitré anni prima che Verdi decidesse di presentare per il pubblico milanese le nuove revisioni di La forza del destino (27 febbraio 1869), Simon Boccanegra (24 marzo 1881) e Don Carlo (10 gennaio 1884) e ne trascorsero addirittura quaranta prima che fosse possibile riascoltare alla Scala un inedito lavoro verdiano, Otello, andato in scena il 5 febbraio 1887 (tra i violoncelli suonava il ventenne Arturo Toscanini). A questi allestimenti scaligeri fecero da corollario due straordinari eventi: la prima italiana di Aida (8 febbraio 1872), le cui prove furono dirette personalmente da Verdi, e la Messa da Requiem, composta dal Maestro per commemorare l’amico Alessandro Manzoni – conosciuto nel 1868 grazie all’iniziativa della contessa Maffei –ad un anno dalla sua scomparsa ed eseguita sia nella basilica milanese di San Marco (22 maggio 1874) che, tre giorni più tardi, alla Scala, dove venne riproposta il 30 giugno 1879 nel contesto di un concerto di beneficienza per gli alluvionati del Po, in quello che sarà il definitivo congedo dalle scene di Maria Waldmann e Teresa Stolz. Dopo la trionfale accoglienza riservata ad Otello, Verdi, nella sua ultima tranche de vie, ricevette continui attestati di stima e affetto da parte dei Milanesi: l’8 febbraio 1887 gli venne conferita la cittadinanza onoraria; nel novembre del 1889 la Scala decise di mettere in scena Oberto conte di San Bonifacio per festeggiare i cinquant’anni di carriera del Maestro; l’8 aprile 1892 diresse la preghiera del Mosè per il centenario della nascita di Rossini; il 9 febbraio 1893, alla presenza di un vero e proprio parterre de rois (composto, tra gli altri, da Carducci, Puccini, Mascagni e Boldini), andò in scena la prima di Falstaff, opera i cui versi furono firmati, come quelli di Otello, da Boito.
Il fratello di quest’ultimo, Camillo, architetto, nel dicembre del 1888 fu incaricato da Verdi di progettare ed edificare la Casa di riposo per musicisti, iniziativa che lo stesso compositore definì «l’opera mia più bella». Alla casa di riposo, oltre a numerose opere d’arte appartenute a Verdi e a 275.000 lire in titoli e crediti, furono donati – per volontà esplicite contenute nel definitivo testamento olografo del Maestro – «tutti i diritti d’autore sia in Italia che all’Estero di tutte le mie opere, comprese tutte le partecipazioni a me spettanti in dipendenza dei relativi contratti di cessione». Dal 1872 Verdi nei suoi soggiorni meneghini preferì alloggiare in un appartamento al primo piano del Grand Hotel et de Milan, dove ospitò alcuni tra i più talentuosi astri del firmamento musicale dell’epoca (Rubinstein, Tosti) e nel quale, alle 2.50 del 27 gennaio 1901, a causa di un ictus, si eclissò la sua straordinaria e longeva parabola esistenziale. Le esequie vennero officiate all’alba del 30 gennaio nella chiesa di San Francesco di Paola e la salma riposò al Cimitero Monumentale di Milano fino al 27 febbraio dello stesso anno, quando, in occasione del trigesimo della morte, i feretri del Maestro e di Giuseppina Strepponi furono traslati nella cripta della Casa di riposo per musicisti. Alla partenza del corteo funebre dal Cimitero Monumentale si levarono – tra la commozione dei duecentomila presenti – le note del «Va’ pensiero», intonato per l’occasione da novecento coristi diretti da Arturo Toscanini.